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EXPERIMENTAL REMIXES #1

Racconto di Gianluca Colloca

 

 Cap. 1 – Jack Kerouac feat. Sal Paradise

 

L’inizio della nostra sera fu precipitoso e vagamente alcolico, già allora. C’era un qualcosa di propiziatorio che si percepiva nell’aria brumosa dicembrina, nel freddo lento tardopomeriggio invernale. Capivamo che tutto stava per diventare una gran saga del divertimento, un momento perenne indelebile a segnarci l’anima.

– Siete pronti? – disse Zanardi. – Su che andiamo!

E allora noi ci sistemammo placidi nei nostri morbidi sedili, lui si chinò sul volante lanciando la macchina saettante attraverso gli stretti vicoli del centro.

Tutti e quattro eravamo felici. Ci rendevamo conto di stare abbandonando alle nostre spalle i vari scazzi e la confusione e le solite menate del lavoro, dell’università e delle fidanzate rompipalle, compiendo l’unica azione che avesse veramente un senso in tutta quella confusione interiore: andare a fica.

Saettammo oltre i locali più alla moda e più costosi, dove quelli vestiti come noi inevitabilmente non sarebbero stati ammessi, e proseguimmo lungo le vie più misteriose e dense di vita alla ricerca di magiche luci nella notte che ci segnalassero un bel localino pronto a riceverci.

Dinamite a un tratto si fece ciarliero.

– Adesso, accidenti, – disse, – tutti voi tre gonzi, non possiamo far finta di niente e allora dobbiamo renderci conto che tutto va benissimo, ogni cosa il suo verso, e infatti toccherebbe percepire cosa significherebbe, per noi, per quattro come noi, capire che EFFETTIVAMENTE non siamo preoccupati. Di NIENTE.

 

 

Cap. 2 – Anthony Burgess feat. Alex Delarge

 

– E allora che si fa, eh?

C’ero io, cioè Flesh, e i miei tre soma, cioè Zanardi, Dinamite e Chen, Chen perché era davvero musogiallo, e si stava sulla macchina veloce a rovellarci il cardine su dove passare la serata, una sera buia bastarda d’inverno, ma asciutta.

In fondo eravamo solo dei malcichi che cercavamo quattro quaglie per il vecchio vaevieni. Scendemmo guizzi dall’auto per entrare in un sosto che, lo locchiammo dalla finestra esterna, era pieno di giovani mammole vestite all’estremo grido truzzo, come noi soma.

Due cerini dal truglio fetente ci passarono a fianco locchiandoci coi fari severi, noi chinammo il planetario indifferenti e entrammo nel sosto. Tutto facile facile tipo baciami le bacche. La notte era ancora giovane però, e si annunciava cinebrivido come la meravigliosa nona di Ludwig van, nell’ultimo movimento che è tutto un’estasi.

 

 

Cap. 3 – Irvine Welsh feat. Begbie

 

Ah, ma che coglione! Che testa di cazzo che sono. Ho lasciato i preservativi a casa. Come cazzo faccio adesso? Come faccio a scoparmi una fica davanti e dietro senza il preservativo? Che poi queste saranno certo tutte zoccole di merda e chissà quale malattia stronza e venerea si portano appresso, ‘ste troie.

E allora lo chiedo a quel testa di cazzo di Dinamite, ma lui mi risponde, lo stronzo, che gli servono.

– Metti che me ne devo scopare tre o quattro, – dice.

Fanculo stronzo.

E anche quel figlio di puttana di Zanna, scorcio di merda, s’inventa le scuse dementi, le scuse più stupide che abbia mai sentito.

– Tiè, – gli faccio, – tiè, ti do un euro.

Ma niente, lo stronzo. Non mi vuol dare il guanto.

A quel rottinculo del musogiallo nemmeno glielo chiedo, ché lo so che lui c’ha tutte le fisse per le malattie e allora quando scopa se ne mette quattro di preserva sul pisello, uno sull’altro.

E come cazzo faccio io se una fottuta troia me la posso chiavare solo in bocca? Come cazzo faccio perdio?

Poi però c’ho l’illuminazione e corro subito al cesso e porca puttana per fortuna dietro alla porta c’è un cazzo di distributore automatico. Allora raccatto gli spicci nelle tasche, stupide monete di merda, metto nella fessura intanto che penso a un’altra fessura più puzzolente, do un paio di calci alla macchina finché non cade giù il preserva, e mi sento subito più tranquillo.

 

 

Cap. 4 – Henry Miller vs. Hunter S. Thompson

 

Tornando nel locale, il pensiero corre a un libro che avevo iniziato a leggere giorni fa. Eravamo dalle parti di Barstow ai limiti del deserto quando le droghe iniziarono a fare effetto. Ah, l’America negli anni sessanta, che posto meraviglioso doveva essere! E che bel libro, spumeggiante, brioso, divertente, riflessivo. Che storie quelle. Il sogno americano del dottor Gonzo, il suo avvocato samoano di centoventi chili, la Chevrolet decappottabile, Las Vegas, lucertoloni nei bar, cameriere assoldate dalla CIA, fotografi fifoni, zoccole senza il senso dell’umorismo. Senza scordare una certa minorenne fuggita da casa, la mescalina, il popper per curare il cuore, autostoppisti senza palle, Topolino nazista. Che roba!

E mentre giro per il locale non posso fare a meno di pensarci a tutte queste cose, le sensazioni, i ricordi, il piacere di leggere certe righe. Mentre scruto le tette a una bionda con la scollatura a balconcino rifletto su certi momenti che vanno vissuti e se ci sei, in certi giorni e mesi e anni, hai la fortuna di partecipare a qualcosa di fondamentale che ti resterà per sempre. Il senso di uno spirito che ti conquista, che ti fa sentire partecipe.

E mentre mi avvicino a una brunetta minuta col viso da bimba mi torna alla mente che proprio una sera di qualche anno fa, mentre facevo i medesimi pensieri dopo aver visto al cinema un film proprio bello, in quella sera conobbi Magda e restammo a parlare un sacco di questo film e delle emozioni che ci aveva dato. Magda era diversa da tutte le altre, me ne accorsi subito. Eppure non c’era nulla che me lo facesse capire, così, nell’aspetto... (continua per altre quaranta cartelle – ndr)

 

 

Cap. 5 – Charles Bukowski feat. Henry Chinaski

 

la brunetta non era niente male. piccola ma soda. coi jeans aderenti e tutto. io avevo la barba di sei giorni e l’aria di chi la sa lunga. si chiamava floriana. le chiesi da dove venisse. non rispose. le chiesi allora dove andava. si mise a ridere.

“offrimi da bere,” disse.

lo feci. con l’alcool diventava via via più socievole. pensai che avevo fatto bene a prendere quel goldone al distributore automatico. pensai che alla fine se floriana stava lì a parlare con me non doveva essere poi sta gran cosa. era carina, coi capelli neri a caschetto e il piercing alla narice. ma magari la dava via a tutti in cambio di un paio di birre. magari aveva la sbronza facile. magari aveva una fica che ci passava anche un autotreno.

“andiamo a casa mia?” le chiesi.

in fondo chissenefrega.

 

 

Cap. 6 – Bret Easton Ellis feat. Sean Bateman

 

Quando giungiamo sulla porta di casa ormai la mia eccitazione ha raggiunto un livello tale che non riesco a essere sereno e rilassato, tanto che mi cadono le chiavi per terra, sullo zerbino, mentre cerco di aprire. Floriana si siede su una punta del letto in camera mia e poggia la testa all’indietro contro il muro, con gli occhi quasi chiusi. Io vado nell’altra stanza a prendere la chitarra e poi le suono Butterfly dei Cure, quindi una canzone mia e canto con leggerezza e molto lentamente, perché voglio capisca bene le parole, e lei a quel punto si intristisce e inizia a piangere, o almeno così mi sembra, e comunque io mi fermo, mi siedo accanto a lei e prendo ad accarezzarle una coscia.

Poi le tocco il viso e sono talmente ammaliato dai suoi occhi lucidi che non posso fare a meno di baciarla sulle labbra. E mi viene subito duro dopo che lei mi bacia a sua volta, con il volto ancora umido.

Allora Floriana inizia a svestirsi e sotto non indossa altro che le mutandine. Ha un corpo giovane, un seno piccolo ma sodo. Attacco a baciarle i capezzoli, quindi le tiro via le mutandine. La sua fica ha un pelo scuro e non depilato, e fino a quando non inizio a toccarla non sente nulla, poi poco a poco s’ammorbidisce, anche se non si bagna, per quanto lei emetta dei piccoli gemiti.

Eppure c’è qualcosa che non va. Non riesco ad afferrarlo però. Dubbioso, inizio a scoparla, lì sul letto, con la chitarra a fianco.