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FRANCO LIMARDI: Anche una sola lacrima (Marsilio, pp. 192, € 12,00)

 

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Fa bene Giancarlo De Cataldo a trovare dei punti di contatto tra Anche una sola lacrima e il film di Paolo Sorrentino Le Conseguenze dell’amore. Fa bene Limardi a dichiarare un debito d’ispirazione verso Brother di Takeshi Kitano. L’opera seconda di questo quarantaseienne insegnante di Storia della Letteratura Italiana che nel 2001 aveva esordito nella narrativa con L’età dell’acqua per la casa editrice romana DeriveApprodi, si può leggere in effetti come una più che riuscita declinazione dei temi presenti in entrambe le pellicole appena citate. Noir come strumento per ragionare sull’uomo, le sue angosce, il suo tentativo di cercare la purezza all’interno della sporcizia. Noir con un protagonista che fin dalle prime battute si fa materia del proprio destino all’interno di un mondo perduto a tutte le certezze.

   Viene in mente un terzo nome, ovvero quello del monumento Jean-Patrick Manchette. In particolare il Manchette di Posizione di tiro e Fatale, opere poco inclini a piegarsi alla calligrafia formale nella loro impassibile disillusione, nel loro rivolgersi al mondo invocando un aspro contraddittorio morale, nondimeno ‘classiche’ nell’adesione al genere, nel rifinito gioco ritmico in cui il tempo della tragedia riesce a compiersi lasciandoci senza fiato.

   La tragedia è la morte che aspetta di saltare addosso a Lorenzo Madralta, reduce dal Libano finito in una cittadina lacustre del Lazio a fare il responsabile della sicurezza in un centro commerciale. In questo posto di gente perbene dove tutti conoscono tutti e le relazioni lecite o clandestine fanno presto a diventare argomento di discussione, Madralta è lo straniero, il cane senza branco, il naufrago che non sa nuotare e nel disordine ricorda d’aver letto un solo libro: Moby Dick di Melville.

   Che cosa lo tormenta? Un deserto affettivo, la cognizione lancinante di un’assenza di senso che pesa più dei pasti solitari, dell’estraneità al rumore degli inquilini del piano di sotto: “Il pianerottolo degli studenti è ingombro di gente, la porta dell’appartamento è aperta e vomita musica, voci e fumo reso giallo dalle lampadine”. Il suo passato è l’immagine nitida di una zona di guerra, scheletri di case sventrate dai bombardamenti, guerrieri spaventati, pozze di sangue e paga in dollari. Solo questo, perché per il resto Madralta è uno che racconta essenzialmente le ombre del suo presente, le silhouettes che gli ballano intorno quando la sera ritorna a casa dopo il turno, tre ore in un albergo a scopare Giuliana, la ragazza del suo capo, oppure una bevuta nel locale del saggio e discreto Giovanni: “Giovanni è anche un gran bastardo, riesce a dare rasoiate con grazia, tanto che quasi lo ringrazi e gli sorridi pure”.

   Una rapina. Il sogno di una vita diversa, di un taglio netto a tutto. “Ho gente fidata, ascolta...gente fidata. Ma devono essere guidati, ho bisogno di uno con la testa che sappia come portare avanti la cosa, ho bisogno di te...” Bisogno e offerta, prospettive e deragliamenti, coraggio e tradimento: un ex pugile, un ex carabiniere, un meccanico. Tre balordi pescati da Vittori, la mente del piano: altri bastardi affamati di soldi, consegnati a Madralta che dovrà guidarli verso la meta. SPAS 15. M70. 357. “Paradiso sembra un grosso bambino mentre, assorto, fa scivolare le cartucce nel serbatoio del Remington.”  Sembra facile, però...

   Non amo raccontare le trame, non vedo perché dovrei cominciare adesso rovinandovi il piacere di leggere in due ore una storia dal montaggio calibrato, un racconto dalla scansione drammatica scossa da improvvise rotture che palesano un buon controllo dei materiali in gioco e salvano i personaggi dagli stereotipi a cui sembrerebbero tendere. È più giusto dire che, se è vero che per il noir non c’è niente di più scontato del tema della rapina a mano armata, Anche una sola lacrima è una marcia inesorabile che respira con l’azione ma non cerca l’effetto spettacolare e pertanto, nelle sue particolarissime indicazioni narrative, nel suo radicale abbandono di esiti consolatori ad esclusivo favore di un senso di cupa fatalità, risulta all’altezza della produzione di autori oggi affermati proprio per quella singolare capacità di rigenerare gli archetipi della loro formazione: Carlotto e De Cataldo in testa.

   Limardi è una rivelazione assoluta, uno scrittore che se andrà all’inferno lo farà per aver abusato di ottime visioni e meravigliose/dannate letture.

 

(N.G.D’A.)