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GIORGIO SCERBANENCO: Rossa

 (Sellerio, pp. 316, € 11,00)

 

John Colemoore veniva da Taos, Nuovo Messico. Era un uomo di bell’aspetto, figlio di un benzinaio e sfoggiava un paio di baffetti alla Clark Gable. Prima di vedere pubblicati i suoi libri, gli toccò sbattersi parecchio: solito iter di vita dura, lavori umili e saltuari, la fortuna cercata a New York, lontano da casa. Dieci anni di tenace attesa, poi la luce. A Milano, Italia, grazie a un signore di nome Giorgio Scerbanenco, più tardi ricordato con l’appellativo di “macchina per scrivere storie”.

   Tutto chiaro? No, meglio ricominciare dall’inizio. La prima cosa da dire è che, come molti già sapranno, il nome completo e corretto dell’amico italiano di John era Vladimir Giorgio Scerbanenko. La seconda è che Colemoore e Scerbanenco erano la stessa persona. Con lo pseudonimo anglofono e una biografia inventata, il prolifico scrittore nato a Kiev nel 1911 e scomparso a Milano nel 1969, siglò alla fine degli anni Quaranta un ciclo di romanzi ambientato nel Nuovo Messico. Ne facevano parte La Mia ragazza di Magdalena, del 1949, ripubblicato da Sellerio nel febbraio 2004, poi il fresco di stampa Rossa (in origine Innamorati, probabilmente per volontà di un editore, fa notare Roberto Pirani nella postfazione). Crime story ad altissimo voltaggio, nella tradizione di Cain, Hammett e Chandler, anzi, fuori da qualsiasi tradizione, poiché, chiosa ancora Pirani: Quando lo scrittore scrive Rossa e gli altri testi, non ha alcun referente, alcuna tradizione alle spalle.

   Leggendo questo straordinario romanzo, ho pensato fin dall’inizio alla prosa di Cormac McCarthy, autore che Scerbanenco non poteva davvero conoscere. La forza evocativa della scrittura però è quella, dal momento che Rossa è la storia di un amore immenso e contrastato, un bellissimo fiore di pietra, un’avventura cruda e seducente all’altezza di Cavalli selvaggi e Il Buio fuori.

  Ero stato in Europa per tutta la guerra, poi parecchi mesi mi ero fermato a New York, e i cow-boys li avevo veduti al cinema. Ma questi non erano di Hollywood, erano cow-boys messicani, senza revolver e senza lazo, ma avevano in tasca, lo sapevo, una specie di temperino, chiamiamolo così, con il quale avrebbero potuto scannare un toro. Così parla Roy Vegas, ex soldato che porta dentro di sé le cicatrici di una tragedia accaduta ad Ivrea, in Italia. Il suo ritorno a casa è quello di un morto che cammina, di un vinto che non esita ad isolarsi in una foresta, a quindici chilometri dal paese più vicino, sicuro di non poter più provare amore per i suoi simili. Ma la notte prima di acquistare una segheria malandata, Roy incontra Rossa, un’indiana dagli occhi grandi e luminosi che serve ai tavoli di un bar di Las Lunas. Con lei, balla sulle note di Noche enamorada una vecchia musica messicana da ballare a piedi fermi, dondolandosi appena sui fianchi e strisciando poi un passo ogni tre tempi per tornare indietro al quinto, ed è subito passione bruciante, dapprima per una sola notte, poi per una vita intera. I due amanti sfidano il disprezzo di chi punta il dito contro l’unione tra un bianco e una donna di colore, affrontano insieme i fantasmi che tornano dal passato di Roy, conoscono il sapore dell’omicidio, il fiato della legge sul collo, il baratro della follia che rischia di attirarli febbrilmente verso la fine di ogni sogno.

  Perché la gente odia quelli che si amano, dice Rossa. Tutta la gente che non sa amare odia quelli che sanno amare, come la donna brutta odia la bella, come il povero odia il ricco e il vigliacco odia il forte.

   Maledetti nella sorte, umiliati dal pregiudizio, eppure vivi, in un mondo governato dalla violenza dei pugni, delle pallottole e delle parole. Il mondo di Crave e Washington, parassiti, e del giovane sceriffo di Taos, poi anche quello del vile Marichant. Una tensione possente, evocata da uomini, animali e paesaggi, attraversa ogni pagina del romanzo proiettando il lettore in una fiaba adulta ricca di colpi di scena, all'interno di un crescendo drammatico nel quale la statura di Scerbanenco (ri)emerge in tutta la sua grandezza. Il est de cette race d'auteurs qui sont avant et contre tout euxmêmes et qui produisent des imitateurs qui vont et viennent sur l'axe des copies, de la plus conforme à la plus confuse.”, ha scritto a ragion veduta il critico francese Robert Deleuse su Mauvais Genres.

   Curioso infine come Rossa sia anche una delle grandi occasioni clamorosamente mancate dal cinema italiano, forse perché non c’è più Fernando di Leo, cineasta che seppe intuire la dimensione cinematografica dello scrittore e ad essa si ispirò (molto liberamente, per sua stessa ammissione) in tre film realizzati tra il 1969 e il 1972: I Ragazzi del massacro; Milano calibro 9; La Mala ordina, più un quarto, Liberi, armati e pericolosi, sceneggiato nel 1976 per Romolo Guerrieri.

Nino G. D’Attis

Sul web: www.mauvaisgenres.com/hbd19_scerbanenco.htm

                 http://manogialla.bastulli.com/Scerbanenco/Scerbanenco.htm

                 http://digilander.iol.it/nicolotti/Scerbanenco/biografia.htm