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Y. B.: Zero kill

(Mondadori, pp. 174, € 7,80; traduzione di Jacopo De Michelis)

 

Tradotto e abbandonato. Ha faticato un po’ a raggiungere gli scaffali, questo romanzo dell’algerino Yassir Benmiloud, meglio noto Y. B. (i lettori italiani lo hanno scoperto con Allah Superstar, edito da Einaudi). Ex giornalista, autore di diversi saggi e romanzi, Benmiloud ha 36 anni e vive attualmente in Francia, dove ha pubblicato Comme il a dit lui (1998) e L’explication (1999) gli altri due tasselli di una trilogia che include anche Zero kill.

   Lo stile: folle, folle, folle. C’è un’essenza di Mark Leyner in questa storia che procede mescolando un gergo giornalistico gonzo (ah, sempre il dottor Hunter S. Thompson, I suppose) ad espressioni da spot, da cartoon (“Un’infermiera carrozzata stile Tex Avery entra in campo”), da lingua inzuppata ripetutamente in una tazza di acido lisergico.

   Un esempio? Va bene, miscredenti: Il Gabinetto Nero si disperde nella notte dallo stesso aggettivo. Nel parco della Residenza, non lontano dal muro di cinta dell’ambasciata, l’amante in carne del Generale delle Ossa se la ride.

   Epigrafe di Nietzsche e avvio spericolato tutto in crescendo nei vicoli di Algeri. È il Natale del 2000, il giovane Youssef Sultane stringe in pugno una Beretta quindici colpi e si prepara a spedire nell’alto dei cieli l’arcivescovo della città.  Youssef (infanzia drogata e stracciona, da bambino si fece notare con un tentato dirottamento dello scuolabus su Disneyland) è affiliato al gruppo fondamentalista delle Lame dell’Islam armato e guidato da Sua Altezza Serenissima l’emiro Mehdi. Gli fanno compagnia gli amici Pépito (“un topo di città che conosce Algeri come le sue tasche”), Rouji lo spacciatore e Wahid il Grasso, figlio del macellaio della piazza del Mercato. C’è anche Belacel, luogotenente di Mehdi radiato dal corpo di polizia perché sofferente di allucinazioni croniche (c’è del torbido, a dire il vero, ma mi guardo bene dal rivelarvelo). Militanti addestrati alla svelta da veterani della guerra in Afghanistan: in confronto, Alan Ford & il Gruppo T.N.T. fanno la figura degli impeccabili professionisti. Youssef finisce impiombato a pagina 10, i compagni di squadra si spartiscono equamente i suoi beni materiali (tra cui una Playstation) e contro ogni più rosea e religiosa aspettativa (un meraviglioso Giardino delle Delizie pieno di figa), il defunto si ritrova al cospetto di Izraïl, truce angelo della morte pronto a processarlo per tutto ciò che ha commesso in vita. Peggio di un interrogatorio nei sotterranei di un commissariato algerino, insomma. Izraïl dice: «Il mio ruolo consiste appunto nello stabilire se tu sei morto da autentico martire o da sobillatore. Da zerbino umiliato o da provocatore poliurico. È un’immagine. A te incorniciarla...» Youssef non crede a ciò che vede e ascolta.  Ciò che legge il lettore è invece un delirio grottesco che parla di questi anni, di una realtà infernale che fa il bagno nel sangue, nel petrolio, nei dollari.

   Idea ingegnosa quella di tradurre nella nostra lingua Zero kill, satira “interna”, atto insolente, attacco viscerale, appuntito, che scorre alla velocità della luce e bersaglia/esorcizza tutti gli incubi pre-post 11 settembre. Sfruttati, cialtroni, canaglie di medio e grosso calibro, mujaheddin e carne da jihad. Y. B., burattinaio dalla fervida immaginazione, aggiunge al brodo di topoi da stracciare anche gli X-Files (ma io non vi ho detto niente: bisogna leggere, leggere, leggere...).

 

(N.G.D’A.)