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DAVID PEACE: Il Maledetto United (Il Saggiatore, pp. 416, € 17,50; traduzione di Pietro Formenton)
 

David Peace Il Maledetto United

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Di calcio non so assolutamente niente. Zero. Buio completo. Mai avuto una squadra del cuore. Mai seguito un mondiale. Ho giocato una sola volta a calcetto – a memoria nel ’96 o nel ’97 – mi misero in porta, avevo una sigaretta in bocca e una  bottiglia di Dreher ancorata a un palo, e per tutta la partita non riuscii a distinguere i compagni dagli avversari (in compenso parai tre goal su quindicimila). Il biliardino, quello sì che mi fa impazzire. Una cosa da bar, chiasso, chiacchere, risate, ventidue pupazzetti dalle facce piatte, metà rossi e metà blu. Il biliardino (o calciobalilla) ha una sua magia, un suo perché.

   Preambolo doveroso per dire che fin qui non avrei mai immaginato di poter leggere un libro sull’argomento, giuro. Ma non avevo fatto i conti con David Peace, evidentemente. Non è un mistero che l’autore del ‘Red Riding Quartet’, GB84 e Tokyo Anno Zero sia tra i miei preferiti.

   Ho accettato la sfida. Penso che, fondamentalmente, qualsiasi lettore sia chiamato a rispondere a sfide continue: qualcuno ti parla di Céline, e un giorno decidi di tuffarti nel Viaggio al termine della notte. Ti dicono che Frammenti di un discorso amoroso di Barthes non è esattamente Liala, e ti fidi. E così via e così via…

   Negli ultimi anni ho divorato qualsiasi cosa sia stata tradotta in Italia di questo fenomeno della letteratura inglese da tempo trapiantato in Giappone. Come avrei potuto lasciarmi sfuggire la storia dei quarantaquattro fottutissimi giorni di Brian Clough in veste di Mister del Leeds United?

   Di calcio non so niente, lo ripeto. Ma questa è la storia di un uomo e uno spaccato dell’Inghilterra a metà degli anni ’70 (lo stesso periodo in cui erano ambientate le storie della sanguinosa quadrilogia dello Yorkshire). Brian Howard Clough (Middlesbrough, 21 marzo 1935 – Derby, 20 settembre 2004), figlio della classe operaia, calciatore e poi allenatore. Sua è la definizione “Cheating, fucking Italian bastards”, riferita alla Juventus dopo una sconfitta del suo amatissimo Derby County in una semifinale di Coppa dei Campioni. Clough arriva al Leeds United in sostituzione di Donald George Revie, che aveva avuto cura della squadra dal 1961 al 1974  portandola dalla seconda alla prima divisione, poi alla vittoria di due campionati, una FA Cup, una League Cup, una SharityShield e due Coppe delle Fiere.

   La squadra è difficile, Clough lo sa. Il Club è un nido di ossi duri e boriosi, stelle in cima alla classifica che però non rinunciano alla scorrettezza. Ma anche Clough è un duro: beve, fuma, bestemmia, trascura la famiglia, pensa notte e giorno al sogno di migliorare la squadra che ha davanti: il Leeds (che odia, profondamente ricambiato) dovrà vincere rinunciando al gioco sporco, all’imbroglio. Ha carisma, Clough. È sanguigno e scostante ma, a dispetto di ciò, riesce ad osservare bene le cose, le facce che ha intorno.

  “Da queste parti odiano l’eleganza. La odiano e la disprezzano, gli stronzi. La trascinano in mezzo alla strada e la prendono a calci nello stomaco, la uccidono e l’appendono ai piloni perché tutti la possano vedere e deridere, dall’autostrada e dalla ferrovia, dalle fabbriche e dai campi, dalle case e dalle colline. Elland Road, Leeds, Leeds, Leeds.”

   Peace scrive una cronaca avvincente, ancora una volta sospesa tra presente e passato (gli inizi del protagonista come allenatore, dopo il grave infortunio che il giorno di Santo Stefano del 1962 mise fine alla sua carriera agonistica; il sodalizio con Peter Taylor, ex compagno di squadra al Middlesbrough). Un thriller, a suo modo. Lo stile è quello: serrato, farcito di imprecazioni, totalmente immerso nella realtà. Ciò che eleva Peace è la sua capacità di oltrepassare gli steccati dei generi, confermandosi narratore assoluto, padrone della pagina in grado di suscitare ammirazione e genuino entusiasmo nel lettore.

   Se ne fotte, Peace, delle etichette, dei manifesti a lutto per una tutta presunta morte del romanzo, delle criptiche elucubrazioni sull’Io e il Me nell’epica, morbosa sega col guanto della letteratura contemporanea.

   Qualsiasi cosa decida di scrivere, Peace offre il sudore, il sangue, gli sputi degli uomini: solo questo conta.

   Qui c’è un pezzo della vita di un signore che i suoi connazionali definirono ‘soccer genius’. Ci sono le sue ambizioni e le sue bestemmie. Ed è un grande, indimenticabile romanzo.

 

Nino G. D’Attis