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		Francamente non ho mai 
		nutrito molta stima per gli Editors, gruppo di Birmingham appena giunto 
		al terzo album dopo  The Back Room (2005) e An End Has a 
		Start (2007). Troppo derivativi, come gran parte della covata 
		inglese degli ultimi dieci anni. Certo, molto più interessanti di quelle 
		quattro sagome dei Franz Ferdinand, devo ammetterlo. 
	
	   Il problema con questi 
	volenterosi ragazzi è che, pur avendo studiato, alla fine non si applicano 
	più di tanto per farti sentire qualcosa di personale. Ecco allora un disco 
	che si avvale della stupefacente produzione di un signore chiamato Flood, 
	giusto quel tizio che i fans di Depeche Mode, Nine Inch Nails, PJ Harvey e 
	U2 hanno da tempo imparato a ringraziare nelle loro preghierine della sera. 
	La qualità dei suoni è garantita al 100%. Già il singolo Papillon è 
	un mezzo miracolo di tastiere che suonano cupe come ai tempi in cui Ian 
	Curtis era ancora tra noi. Flood è il professore, gli Editors gli allievi, 
	New York la città in cui è nato il lavoro: la combinazione potrebbe 
	funzionare (ingredienti da utilizzare: Joy Division, Gary Numan e 
	naturalmente i Depeche!). Ciò che manca a In This light and on this 
	evening è, come dicevo prima, la zampata di carattere, il guizzo 
	originale in grado di risputare fuori il modello di riferimento (ovvero il 
	synth pop anni ’80) in una versione correttamente aggiornata. Qualcosa, 
	insomma che non abbia il sapore raffermo della revival-wave. 
	
	   Tastiere versus chitarre. 
	Analogico versus digitale. Gli O.M.D. e (meglio) gli Ultravox di Vienna
	come spiriti guida. 
	
	   Per qualche traccia 
	interessante (come il cinematico e teso brano d’apertura che intitola la 
	raccolta), molti sono i momenti in cui la confusione regna sovrana e 
	l’ascoltatore non riesce a cogliere il disegno generale (a proposito: 
	copertina orrenda, scommetto che neanche un neomelodico napoletano la 
	vorrebbe). Like Treasure è un pezzo infiacchito dallo scimmiottamento 
	(ancora i Joy Division). The Big Exit promette qualcosa che gli 
	Editors non riescono a mantenere, forse per colpa della voce di Tom Smith.
	The Boxer risulta poco più che una B-side dei Bronski Beat. 
	
	   Mutante e inaspettato 
	rispetto alle prime due prove rilasciate dalla band, però poco accattivante. 
	È tutto un “vorrei ma non posso”, una lunga, imbarazzante esitazione 
	inficiata a tratti da un insistito autocompiacimento. La prima tiratura 
	dell’album comprende anche un EP con cinque brani dal titolo 
	 Cuttings 2. 
	Niente di eccezionale neanche lì. 
	
	  
	
	(J.R.D.) 
	
	  
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