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JOHN FRUSCIANTE: The Empyrean   (Record Music Collection/EMI)

Si apre con un lungo strumentale dal titolo Before the beginning, il decimo album solista di John Frusciante. Uno che, giusto per carburare, gioca per nove minuti con Hendrix e i Pink Floyd e subito dopo acchiappa disinvolto il microfono per mettersi a cantare una versione da pelle d’oca di Song to the Siren di Tim Buckley che da sola spiega il titolo dell’intero disco: l’Empireo, il più alto dei cieli, luogo di residenza degli angeli e delle anime accolte in Paradiso. Il cielo più luminoso, dove si accendono quell'amore e quella virrtù che si trasmettono poi nei cieli sottostanti. Amen.

   “Sail to me / Sail to me / Let me enfold you / Here I am / Here I am / Waiting to hold you…” Già incisa tra gli altri da Robert Plant e dai This Mortal Coil, la canzone di Buckley contenuta in origine nell’album Starsailor (1970) è una forte allegoria della perdita della ragione attraverso la passione amorosa. “Here I am / here I am, waiting to hold you.” La musica è l’amore che, proprio come una sirena, può rendere più saggi o ancora più disperatamente sbroccati a seconda delle occasioni. Il chitarrista di uno dei gruppi più famosi del pianeta era scappato dalla band e dalla musica nel maggio del 1992: scazzi, abuso di droga, ma anche passione in calo, vita soffocata dal mito che cominciava a sovrastarla. Poi, fortunatamente, nell’anno di grazia 1998 ci fu il ritorno, il secondo avvento, con tanto di ispirazione ritrovata. Intatta l’onestà dell’uomo e del musicista: non era lì solo per i soldi o per la figa, evidentemente. Il genere di cose che fa la differenza, mi spiego?

    Al terzo pezzo (Unreachable) entriamo davvero nell’universo che Frusciante ha creato nell’arco di quasi tre anni lavorando nel suo studio a  Laurel Canyon. C’è una melodia che non avrebbe sfigurato in bocca al suo compagno di squadra Anthony Kiedis. C’è un sound che si carica in progressione ed ha non pochi punti di contatto con le poche cose lasciateci da Jeff, il figlio di Buckley prematuramente scomparso come il padre. Beh, togliamoci subito il pensiero: a 39 anni e con i fasti dei Red Hot Chili Peppers sul groppone (più la meritatissima fama di chitarrista ultragalattico), l’ex ragazzo prodigio John Anthony Frusciante, nato nel Queens di New York e cresciuto a Los Angeles, ha pescato nella sua testa un lavoro di superlativa bellezza. Mica puoi buttarlo via un disco così coi tempi che corrono. Un mix di soul, blues e psichedelia tirati a lucido con l’aiuto di un po’ di amici (Flea, Sonus Quartet, Josh Klinghoffer, Johnny Marr e The New Dimension Singers). Un viaggio spettacolare, cosmico ed emozionante, fuori dal tempo per quel tessuto suggestivo vecchio stampo (nel senso di dischi fatti con l’anima e il sudore nelle mutande, con l’entusiasmo ben equilibrato dall’esperienza), per quell’immediatezza disarmante che comunica nell’ascoltatore e anche nella giusta distanza dal crudo esordio del 1994 con Niandra LaDes & Usually Just A T Shirt che guardava più al folk, a Syd Barrett, alla filosofia lo-fi. L’autore prova a spiegarlo con queste parole: “una storia che non avviene nel mondo fisico, ma nella mente di una persona, durante tutta la sua vita. L’unico altro personaggio non vive nel mondo fisico, ma esiste solo nella mente delle persone. La mente è l’unico luogo dove ogni cosa può esistere realmente. L’unico modo che abbiamo di conoscere il mondo esterno è la rappresentazione che i nostri sensi portano al nostro interno. L’immaginazione è l’unico mondo reale che conosciamo davvero perché ne abbiamo esperienza di prima mano.”

   Quando arriva un pezzo come God, Frusciante polverizza nel giro di poche battute Lenny Kravitz. Quando subito dopo c’è la mini-suite Dark/Light, c’è un’esplosione di colori seventies che include anche un respiro europeo kraut-rock addizionato ad un gospel di chiaroscuri emozionali. È sensualità a cuore aperto (ascoltate in cuffia il tessuto armonico di Heaven o la melodia di Central). Tutto il disco è un’iniezione di adrenalina che ti scava l’anima con febbricitante affanno espressivo. E Frusciante è un uragano che soffia sulle vette più alte della musica rock di questi anni.

 

(J.R.D.)