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NINE INCH NAILS: Year Zero (Interscope)

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"Consuming or spreading this material may be deemed subversive by the United States Bureau Of Morality. If you or someone you know has engaged in subversive acts or thoughts, call 1-866-445-6580. BE A PATROIT-BE AN INFORMER!"

 

Dalle fiamme dell’inferno privato a quelle di un mondo che accelera per morire in fretta: Trent Reznor ha ancora molto da dire, persino ai suoi fans più coglioni delusi da un disco come With Teeth che aveva il coraggio di preannunciare il nuovo percorso artistico della creatura NIN. Per la gioia di quei coglioni, Trent Reznor avrebbe dovuto morire d’amore, di droga, di spleen (post)adolescenziale dopo The Downward Spiral. Accasciarsi sul palco e consegnarsi al mito imperituro. Oppure spararsi un colpo come Kurt Cobain, chiaro. “Col cazzo” deve aver pensato Trent. Infatti rieccolo qui, chitarra a tracolla, fuori dalla merda personale, proiettato verso una dimensione altra, perfettamente in linea coi tempi bui che viviamo.

   12 febbraio 2007: su una maglietta stampata per il nuovo tour, campeggia la scritta "I am trying to believe." È un indizio. Il puzzle che si compone piano piano, attraverso una semina di siti web creati ad hoc e chiavette USB abbandonate nei bagni di qualche locale in cui la band sta suonando, ci porta direttamente alla frase urlata il 1° aprile, dal palco dell’Alcatraz di Milano: «It’s fucking good! Steal it.» Neanche 48 ore più tardi, tutte le 16 tracce di Year Zero risultavano disponibili in rete (in ascolto sul sito ufficiale, in download da qualche altra parte con un minimo di sforzo). Compatto, brutale e maturo (Mr. Selfdestruct ha oggi lasciato il posto ad un cittadino americano che riflette sulle catastrofi del suo paese), fottutamente bello, certo. E da rubare, ma soprattutto da avere in originale (in questo caso è vero: suona molto meglio!) tra i dischi che crescono ascolto dopo ascolto e lasciano un segno, questa opera numero cinque di un progetto rivelatosi ai più nel 1994 con il capolavoro The Downward Spiral.

   “Down on your knees, you'll be left behind / This is the beginning / Watch what you think, they can read your mind / This is the beginning / I got my mark, see it in my eyes / This is the beginning / My reflection I don't recognize / This is the beginning”. L’attacco, dopo il tellurico strumentale HYPERPOWER! fa tremare le gambe: è solo viral marketing o Trent Reznor sta realmente spingendo le masse verso qualcosa? I siti web si moltiplicano. Le immagini scelte per illustrare l’esterno e l’interno della copertina (opere di Hydraulx, Matthew Santoro, Rob Sheridan)    rimandano all’America “on the road” (molti sogni infranti dopo Easy Rider, direi), a quella dei predicatori-manager (“ONE NATION UNDER GOD”, recita il logo dell’immaginario United States Bureau Of Morality), alla nazione dei nuovi Rambo pompati di oscena retorica e armati fino ai denti per essere al servizio della follia di George W. Bush. Pensate a Brazil di Terry Gilliam. Pensate a Fight Club (libro e film). Pensate ai pochi artisti che, non solo nella musica, riescono ancora a darvi la scossa, a sorprendervi, a tirarvi giù dalla vostra fottuta poltrona davanti al televisore.

   Metti su Capital G, Meet your Master o l’inquieta dolcezza di In this twilight e pensi che Trent Reznor non solo non è morto ma non si è neppure fatto bollire il cervello come tanti altri suoi colleghi (e se non siete d’accordo, ammazzatevi di seghe ascoltando i Tool).

   Un concept tra James Ballard e Philip K. Dick (“potrebbe essere sulla fine del mondo”) che nelle intenzioni del suo creatore si concluderà con il prossimo album annunciato (imprudentemente?) per il 2008 e che avrebbe dovuto addirittura comprendere una trasposizione cinematografica per ora accantonata.

   I testi di Year Zero parlano di un mondo consegnato alla stoltezza, alla cultura delle armi, ai rifiuti tossici, all’autodistruzione (“ci siamo tenuti su mangiando, ma i nostri ventri gonfi non erano ancora pieni / lei ci diede tutto ciò che aveva ma arrivammo al punto di chiederne ancora / non potevamo farle chiudere le gambe, nostra Madre Natura è una puttana”). Liriche spietate e suoni distorti: la voce del poeta nero Saul Williams tra i cori del singolo Survivalism, pochi ospiti in studio (Josh Freese alla batteria in HYPERPOWER!; un po’ di fiati in Capital G, il resto è tutta una performance in solitaria del titolare). Pazzesco come Year Zero stia suscitando lo stesso sgomento di Metal Machine Music di Lou Reed all’epoca: ma è vero, una parentela c’è eccome!

   18 aprile: in un magazzino abbandonato, appena fuori Los Angeles, un gruppo di fans è chiamato a partecipare ad un misterioso meeting con i Nine Inch Nails che suonano dal vivo. Dopo sei pezzi arriva una squadra SWAT che interrompe l'incontro seminando il panico. Tutto finto? E voi dentro quale realtà state vivendo in questo preciso istante?

 

(J.R.D.)

 

www.nin.com

www.opensourceresistance.net

www.nineinchnails.it

Beside You In Time (DVD)