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THE GOOD THE BAD & THE QUEEN: The Good The Bad & The Queen (Parlophone)

THE GOOD THE BAD & THE QUEEN: The Good The Bad & The Queen

Ordina da iBS Italia o da CDWOW

Ecco il progetto dei cantastorie senza nome: un microfono, una chitarra, un vecchio tamburo e un vecchio basso elettrico che però battono e pulsano ancora come l’unica cosa davvero capace di far arrossire i critici pagati per lanciare nel business una star ventenne ogni sette giorni. Niente nome, si diceva. E per comodità può tornare utile The Good The Bad And The Queen, sigla dal richiamo spaghetti-western utilizzata come titolo di questo primo e forse unico album della formazione.

   L’idea: nasce da un’escursione africana del 2004 che porta dapprima in territori prettamente world music, poi, alla luce di sessions successive, ad un concept tematicamente legato alla zona di West London e in senso più ampio all’Inghilterra dei nostri giorni, quella di Blair e della “moderna socialdemocrazia”, della cappa di gravi tensioni sociali, del coinvolgimento nella follia della guerra come nell’era Thatcher. Un disco-istantanea (di un tempo, di un luogo, di un mood particolare), alla maniera London Calling dei Clash, The Queen is dead degli Smiths e Parklife dei Blur, hanno scritto i soliti bene informati.

   Personale a bordo: Paul Simonon, nato il 15 dicembre 1955 e sopravvissuto nel duro quartiere londinese di Brixton per diventare, appena ventunenne, il leggendario bassista dei Clash. Simon Tong, uomo in panchina nei Verve, sostituto del dimissionario Graham Coxon nell’ultima incarnazione dei Blur, ospite nel recente Demon Days dei Gorillaz. Tony Allen, altra leggenda con tanto di medaglie conquistate come batterista degli Africa ’70 alla corte di Fela Kuti. E naturalmente Damon Albarn, vero cervello dell’operazione (una testa singolare che dai Blur alle jam con i musicisti del Mali, fino alla band-cartoon dei Gorillaz, non ha fortunatamente smesso di proiettarsi e proiettarci verso nuovi mondi da scoprire). Alla produzione troviamo poi Danger Mouse, all’anagrafe Brian Burton. Newyorkese, celebre per l’operazione trendy di The Grey Album (Jay-Z miscelato ai Beatles per vedere l’effetto che fa).

   The Good The Bad And The Queen: un supergruppo? Non nel senso classico: niente mummie miliardarie che si mettono insieme per battere cassa suonando alla meno peggio. L’ascolto di un disco chiaccheratissimo, atteso da molti mesi svela invece una perfetta quanto equilibrata somma delle parti in causa, tra odori di folk urbano, spezie afro-dub e curiosi riferimenti alla storia del pop-rock passato (il doo-wop alla Mystics anni ’50 in 80’s Life; una riconoscibile citazione della stonesiana As Tears Go By in Northern Whale, un’altra di London Calling in coda al maestoso Kingdom of Doom, il secondo singolo estratto). 12 brani in scaletta (l’edizione giapponese ne ha uno in più: Back in the day; l’immancabile limited edition contiene un bonus Dvd con filmati dal vivo e interviste) per un disco che dice qualcosa in più su se stesso ogni volta che lo riascolti. Morbido nei suoni, dickensiano nelle suggestioni letterarie e iconografiche. Roba da pub d’altri tempi, appunto: versatevi una pinta doppio malto e disponetevi ad ascoltare le storie di Damon & Co.

 

(J.R.D.)

 

www.thegoodthebadandthequeen.com